Oltre a colpire la quotidianità di tutti i cittadini, la pandemia a provocato conseguenze pesantissime per numerose attività imprenditoriali. Sono state colpite in special modo le PMI, ovvero le piccole medie imprese italiane. Molte di esse, di fronte alle enormi difficoltà economiche e finanziarie, hanno dovuto addirittura chiudere o peggio ancora dichiarare fallimento.
Il dramma delle piccole medie imprese
Le cifre di questo dramma imprenditoriale sono chiare. Il 65% delle piccole e medie imprese italiane si trova in pericolo di default. Parliamo del 92% delle imprese attive sul nostro territorio, ovvero 5,3 milioni. La ricaduta occupazionale di questa crisi è gravissima, perché interessa oltre 15 milioni di lavoratori. Anche in termini di fatturato i dati sono, pesanti questo plotone di imprese genera 2000 miliardi di euro.
Finora un decimo delle piccole medie imprese italiane ha già abbassato definitivamente le saracinesche. Il blocco dell’attività dovuto alle prolungate misure di lockdown, ha provocato una voragine economica e finanziaria. Le spese non sono state più compensate dai ricavi, e questo inevitabilmente ha generato uno tsunami dell’asse portante della struttura imprenditoriale. Pensateci: se le aziende più famose al mondo hanno patito la crisi, figurarsi quelle piccole.
Chi resiste ha bisogna di aiuto
Adesso però bisogna salvare l’altra parte delle piccole e medie imprese italiane, quelle che continuano a navigare nella tempesta. L’errore più grave è quello di concentrarsi sugli aspetti generici di una visione macro, ossia guardare il problema della crisi pandemia solo in un’ottica complessiva. Questo è un errore grave perché si finisce inevitabilmente per dare più importanza alle macro imprese. In questo senso, l’incertezza legislativa diventa una grossa incognita per i naufragi della tempesta, paralizzando le loro mosse. Che invece dovrebbero essere il più tempestive possibile. A questo si deve pure aggiungere il peso di una burocrazia non certo amica, ed anzi spesso soffocante.