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CRISI FINANZIARIA 2007-2009 spiegata passo per passo

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Gli eventi e le regioni che hanno condotto a uno dei peggiori shock globali dell’era recente

Nel primo decennio del nuovo Millennio il mondo ha vissuto una spirale di eventi che provocarono la grave crisi finanziaria 2007-2009. Anche se questo triennio fu il periodo “caldo” della crisi, in realtà la situazione tossica affonda le sue radici già nel 2003.

Le vere origini della crisi finanziaria 2007-2009

I fattori che provocarono la crisi furono molteplici, e tutti collegati tra loro. Fu una catena di eventi che cominciò nel 2003 e piano piano spinse il mondo della finanza a compiere dei passi sempre più azzardati, finché qualche anno dopo tutto il castello crollò nel giro di breve tempo, spargendo i suoi effetti tanto negli USA quanto di Europa.
Vediamo anzitutto quali furono singolarmente questi fattori.

Fattore 1: La diffusione senza freni dei mutui subrpime

mutuiNel corso del 2003, molte istituzioni finanziarie aumentarono in modo scellerato la concessione di mutui subprime, che erano ad altissimo rischio. In pratica venivano erogati i mutui a clienti che però non avevano sufficienti garanzie di essere solvibili.

Ma perché se erano clienti poco affidabili, gli istituti gli davano i soldi in prestito?
Perché il mercato immobiliare statunitense era in forte crescita, grazie al fatto che i tassi di interesse della FED erano bassi; ciò agevolava l’acquisto di abitazioni, e siccome la richiesta era forte faceva anche crescere il prezzo delle abitazioni. Di conseguenza, le istituzioni finanziarie ritenevano conveniente erogare mutui visto che, in caso di insolvenza del mutuatario, potevano comunque recuperare il denaro prestato attraverso il pignoramento e la rivendita dell’abitazione in un periodo di prezzi crescenti.

Fattore 2: La “cartolarizzazione” dei mutui

Un altro seme della crisi finanziaria del 2007-2009 fu lo sviluppo delle operazioni di “cartolarizzazione” (securitisation). Gli istituti che erogavano i minuti potevano trasformarli subito dopo in un titolo, che poi vendevano a soggetti terzi (le cosiddette ‘società veicolo’ o ‘Special purpose vehicle, SPV’) così da poter recuperare immediatamente buona parte del credito che altrimenti avrebbero riscosso solo al termine dei mutui stessi (10, 20 o 30 anni dopo).
A loro volta le società veicolo finanziavano l’acquisto dei mutui cartolarizzati mediante l’offerta agli investitori di titoli a breve termine.

La catena era quindi questa: i clienti ottenevano il mutuo dagli istituti, che poi recuperavano parte dei soldi vendendo mutui cartolarizzati alle società veicolo, che a loro volta si finanziavano tramite la vendita di titoli agli investitori.
Siccome questi titoli offrivano discreti rendimenti mentre i tassi FED erano bassi, molti investitori li compravano. E questo avvenne sia negli USA che in Europa, generando i presupposti affinché la crisi si sarebbe poi propagata nel vecchio continente.

Fattore 3: Il fenomeno del “leverage”

Già lo scenario illustrato finora fa comprendere un meccanismo di per sé tossico, che poggiava su basi molto fragili.
Ma c’è un altro fattore in ballo: la cartolarizzazione permetteva alle istituzioni finanziarie di erogare mutui e recuperare subito una parte delle somme erogate, che poi venivano utilizzate per erogare altri mutui.
Questo meccanismo finì per consentire agli istituti di espandere la loro attività in misura molto superiore al capitale proprio (fenomeno del “leverage” o “leva finanziaria”). E non parliamo del doppio o del triplo, ma di decine e decine di volte superiore.

Fattore 4: Le agenzie di rating

A questo punto entra in scena un altro fattore: le agenzie di rating. I mutui cartolarizzati non erano come i titoli azionari, che hanno un preciso prezzo di mercato che si basa soprattutto sui dati e le performance aziendali (oltre che su normali dinamiche speculative). No, i mutui cartolarizzati erano prodotti complessi che venivano per lo più scambiati al di fuori dei mercati regolamentati, con valutazioni che difficilmente potevano essere accurate e si basavano fondamentalmente sul giudizio delle agenzie di rating.
Ed ecco il problema: per fare le loro valutazioni, queste ultime si basavano su modelli che non erano certi e sicuri, perché si basavano su ipotesi e scenari che talvolta erano ottimistici (senza considerare l’atteggiamento doloso di certe agenzie, che gonfiavano volutamente alcune valutazioni perché avevano interesse a farlo).

Adesso che abbiamo messo in fila i fattori scatenanti, vediamo cosa innescò la miccia che fece scoppiare la bolla.

Cosa innescò lo scoppio della crisi finanziaria 2007-2009

Tutto l’edificio costruito dal mondo finanziario sui mutui subprime aveva cominciato a sgretolarsi già a partire dal 2004, quando la FED cominciò ad alzare i tassi di interesse. Ciò rese i mutui sempre più costosi e iniziarono le prime insolvenze delle famiglie, che non potevano più sostenere rate sempre più onerose.
Da lì in poi gli anelli della catena cominciarono a scricchiolare, perché con i tassi più alti la richiesta di casa si ridusse, e con essa anche il valore degli immobili che erano a garanzia dei mutui già esistenti.

Le perdite ingenti e le risorse mancanti

mercatiPer le istituzioni finanziarie più coinvolte nell’erogazione dei mutui subprime cominciarono ad arrivare – dopo anni di super-profitti – le prime pesanti perdite.
Ma il peggio doveva ancora arrivare, perché anche un altro anello della catena stava per spezzarsi.

Da luglio 2007 le agenzie di rating cominciarono a declassare il giudizio sui titoli cartolarizzati, che ormai erano diffusi a macchia d’olio sul mercato. Sulle negoziazioni di quei titoli si basava tutta l’attività delle già citate ‘società veicolo’ che a quel punto cominciarono a chiedere fondi alle banche che li avevano emessi e che avevano garantito linee di liquidità.

Ma come abbiamo detto poco fa, molte banche avevano così espanso la loro attività di erogazione di mutui subrpime, che era diventata decine e decine di volte superiore alle risorse che effettivamente avevano. E così alla richiesta di fondi da parte delle SPV, molte non avevano la liquidità necessaria.
In teoria avrebbero potuto chiedere soldi a loro volta ad altre banche, ma a quel punto nessuna era così folle da farlo. Il mercato interbancario di fatto era pervaso da scarsa fiducia degli uni verso gli altri, e così ci fu progressivamente una significativa contrazione della disponibilità delle banche a concedere credito ad altri istituti finanziari.

La deriva verso il fallimento

Molti istituti finirono così per rimanere strozzati dal meccanismo che avevano messo in piedi, perché erano esposte verso le società-veicolo, verso i soggetti colpiti dalla crisi (ad esempio, i fondi che avevano investito nei titoli cartolarizzati), e perché possedevano a loro volta titoli strutturati che non avevano più valore.

Il fallimento di Lehman Brothers

lehman brothersQuando alcuni tra i maggiori istituti di credito statunitensi si avviarono rapidamente verso il fallimento, l’intervento del Tesoro di concerto con la FED evitò inizialmente la catastrofe.
Ma a un certo punto non si potè più intervenire per salvare tutti, e così il 15 settembre 2008, la data simbolo della crisi finanziaria 2007-2009, la famosa banca di investimento Lehman Brothers avviò le procedure fallimentari.
Si stimò che a quella data il suo leverage era pari a 57 volte, cioè per ogni dollaro di capitale proprio aveva 57 dollari di debiti con i quali aveva finanziato le sue attività.

L’effetto contagio e la propagazione della crisi

northern rockLa decisione delle Autorità americane di lasciare fallire Lehman Brothers innescò una paura profonda sui mercati, generando una nuova fase di intensa instabilità. Siccome le banche erano più o meno tutte connesse tra loro, il crak di LB si ripercosse a macchia d’olio su molte altre banche, e tante fallirono a loro volta.
Fu una catena continua di defalut.
La crisi si propagò anche al mercato azionario, perché gli investitori fuggivano in particolare ai titoli delle società del settore finanziario. Per effetto dell’esposizione diretta o indiretta delle banche di alcuni paesi europei al fenomeno dei mutui subprime, il contagio si estese anche all’Europa dove già dal 2007, a dire il vero, i primi venti di paura colpirono la britannica Northern Rock, specializzata nei mutui immobiliari: fu oggetto di una corsa agli sportelli, costringendo la Bank of England a intervenire in soccorso.
Fenomeni analoghi si verificarono anche altrove, e consistenti piani di salvataggio per istituti di credito in difficoltà vennero predisposti in Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo e Svezia.

Dalla crisi finanziaria alla recessione globale

Dopo quegli eventi, ottenere dei prestiti divenne sempre più difficile perché gli istituti pretendevano garanzie forti e applicavano tassi alti per concederli.
Come conseguenza, sul mercato non circolava più liquidità, e famiglie e imprese cominciarono a ridurre i consumi e investimenti. Le interdipendenze commerciali tra paesi, infine, comportarono una pesante riduzione del commercio mondiale.
Le banche centrali avviarono massicce iniezioni di denaro per evitare la paralisi totale dell’economia, che però finì in recessione praticamente ovunque (il PIL globale scese del 2,2% nel 2009). Per evitare una crisi sistemica, le finanze pubbliche sono state pesantemente stressate e il deficit pubblico si è ampliato in molti paesi.

Una lezione imparata?

La grave crisi finanziaria 2007-2009 costrinse l’intero mondo finanziario a rivedere la sua regolamentazione, in particolare riguardo ai requisiti di capitale ed ai principi contabili, per evitare il ripetersi di situazioni analoghe in futuro. Inoltre evidenziò l’esigenza di rivedere il ruolo delle agenzie di rating, dei fondi speculativi e dei mercati non regolamentati (over the counter), oltre che la necessità di stabilire degli standard più rigidi sulla governance degli istituti.
Ma avremo imparato quella dura lezione?

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