Sappiamo tutti quanti ormai che la transizione energetica è assolutamente necessaria. E sappiamo anche che questo percorso presenta dei costi importanti. La novità che emerge da alcune recenti sondaggi è che i cittadini sono sempre meno disposti a finanziare questo processo.
I dubbi sulla transizione energetica
Il think tank europeo Project tempo ha condotto un sondaggio tra i cittadini europei e britannici, per evidenziare i dubbi che essi nutrono nei confronti del percorso di transizione energetica. Ci sono infatti molte domande frequenti che ci si pone: chi paga questo processo? Quanto bisognerà pagarlo e soprattutto per quanto tempo ancora? E quali saranno i risultati di questi sforzi?
I motivi dell’insoddisfazione
Bisogna considerare che le difficoltà economiche degli ultimi anni hanno creato insoddisfazione dei cittadini europei, che quindi sono sempre meno disposti a destinare una parte delle loro risorse al percorso di transizione energetica. Pur essendo tutti convinti sostenitori dell’importanza dell’economia sostenibile, sono sempre meno propensi a pagarne il conto. Soprattutto se non riescono a vedere concretamente dei benefici all’orizzonte (ad esempio delle bollette energetiche più leggere, o un aumento dei posti di lavoro).
Alcuni numeri del sondaggio
Nel sondaggio condotto da Project tempo emerge che la maggioranza dei cittadini, il 55%, percepisce che il sistema economico non funziona e non crea per loro reali benefici. Per questo motivo ha ridotto la propria disponibilità a sostenere il costo della transizione energetica.
Questo non vuol dire però che si nega la sua utilità, visto che il 90% degli intervistati continua a ritenere necessaria un’economia più sostenibile.
Il vero problema però è il passaggio dal dire al fare. L’attuazione delle politiche climatiche non ha il pieno sostegno dei cittadini europei e britannici, e appena la metà degli intervistati ritiene che entro il 2040 effettivamente effettivamente l’Unione Europea riuscirà a ridurre le emissioni di gas serra del 90%. La cosa assolutamente inaspettata è che i dubbi maggiori sembrano essere proprio da parte dei giovani, ossia la fascia tra i 18 e 24 anni, che dopo aver sostenuto il movimento Fridays for Future adesso sembrano già voltare le spalle alla causa.



















