La riduzione del tasso di interesse sui depositi parcheggiati nei conti correnti degli italiani ci è costata – dal 2008 in poi – l’esorbitante cifra di 19,7 miliardi di euro.
La forbice sul tasso di interesse
Ad evidenziare questa situazione è stata un’analisi condotta dall’ufficio studi della Cgia. Nel 2008, l’anno in cui sarebbe scoppiata la grande crisi finanziaria, il tasso di interesse riferimento praticato dalla Banca Centrale Europea era lo stesso che c’è oggi, ossia il 4,25%.
Quello che però è molto cambiato dal 2008 a oggi è il tasso di interesse che le banche applicano a favore dei correntisti depositanti. Infatti nel 2008 era all’1,87%, mentre da diverso tempo il rendimento di un conto corrente è praticamente nullo (in media siamo a 0,38%).
Un punto del PIL andato in fumo
Questa forbice che si è venuta a creare (ed allargare) tra il tasso di interesse della BCE e quello delle banche private, è costato alle famiglie e imprese ben 14,6 miliardi di euro netti. Infatti se ai 1.320 miliardi di euro di risparmi che si trovano attualmente parcheggiati negli istituti di credito italiani fosse applicato l’1,87% (anziché lo 0,38), famiglie e imprese si ritroverebbero con 14,6 miliardi netti in più.
Al conto vanno aggiunti anche 5,1 miliardi che il fisco avrebbe potuto prelevare sui risparmi dei correntisti. La somma complessiva di 19,7 miliardi corrisponde praticamente ad un punto percentuale del PIL italiano.
L’Europa non sta meglio
Va precisato che la situazione non è molto diversa nel resto dei paesi europei. Anche negli altri paesi infatti le banche si dimostrano abbastanza avare.
Gli ultimi dati disponibili (luglio 2023) dicono che la media del tasso di interesse applicato sui conti correnti delle famiglie dell’Area Euro era pari allo 0,27% (-105 punti base rispetto al 2008).
Nonostante gli appelli inviati a più riprese dalla numero uno della BCE, Christine Lagarde, gli istituti europei non stanno facendo praticamente nulla per remunerare in misura maggiore i risparmi dei cittadini del vecchio continente.