Il ricorso ai famosi condoni fiscali da parte dello Stato per aumentare gli incassi è una pratica criticabile sotto il profilo etico. Ma negli ultimi 50 anni più o meno tutti, da destra a sinistra, l’hanno adottata.
Quello che viene messo in evidenza dalla Cgia è che dal punto di vista economico non ha prodotto grandi vantaggi.
Il conto (deludente) degli incassi
Nel corso degli ultimi 50 anni, i condoni posti in essere da diversi governi ha fruttato all’erario incassi complessivi per 148,1 miliardi di euro (rivalutando l’importo al 2023). Può sembrare una cifra esorbitante, ma in realtà ogni volta la sanatoria di turno ha portato incassi decisamente inferiori rispetto a quelli attesi.
Ad esempio, il condono che venne introdotto dal Governo Craxi I ottenne soltanto il 58% rispetto agli incassi previsti. Se quello del primo governo Berlusconi arrivò al 71%, il successivo varato durante il secondo mandato arrivò appena al 34,5%.
La sanatoria più redditizia è stata quella del 2003, che ha fruttato alle casse dell’Erario circa 28 miliardi di euro nel periodo 2003-2008. Quella del 1991 è stata la seconda più redditizia, con 10,4 miliardi. Sul gradino più basso del podio c’è quella del 1995: 8,4 miliardi.
Inutili per contrastare la lotta all’evasione
Oltre ad essere state poco redditizie dal punto di vista economico, i condoni non sono neanche riusciti a contrastare in modo efficace l’evasione fiscale. Nel nostro Paese rimane un fenomeno pesante, visto che sottrae agli incassi dello stato circa 90 miliardi di euro l’anno. Di questo importo, circa 78,9 miliardi sono imputabili all’evasione tributaria e altri 10,8 miliardi all’evasione contributiva.
La Cgia ha calcolato che per ogni 100 euro di incassi del Fisco, ce ne sono comunque 13,2 che vengono evasi. La situazione più critica è nel Mezzogiorno, specialmente in Calabria. In questa regione su 100 euro che lo stato riesce a incassare, ce ne sono altri 21,3 che gli evasori riescono a occultare. Non va meglio in Campania (20) e in Puglia (19,2).