È scaduto il periodo di “grazia” per le obbligazioni non pagate, e questo ha spinto formalmente la Russia in default sul debito estero. Non succedeva dal 1918.
Il mancato pagamento sul debito estero
La Russia avrebbe dovuto pagare 100 milioni ai creditori internazionali su due obbligazioni, una denominata in dollari e una in euro, in scadenza nel 2026 e nel 2036. Mosca doveva pagare i due bond il 27 maggio, ma era stato concesso un periodo ‘di grazia’ di 30 giorni. Tuttavia il pagamento non è avvenuto, a causa delle sanzioni che sono state varate dai governi occidentali come ritorsione per l’invasione in Ucraina.
La Russia aveva sfiorato il default già all’inizio di quest’anno, ma l’aveva evitato modificando i metodi di pagamento. Quello che è cambiato stavolta è l’atteggiamento del Tesoro degli Stati Uniti. Non ha rinnovato la licenza che consentiva agli investitori americani di beneficiare di una esenzione per i pagamenti. Da quel momento in poi, per la Russia è diventato impossibile onorare i propri debiti.
Valore simbolico
Anche se dal punto di vista simbolico è una situazione eclatante, sotto quello concreto il default sul debito estero ha una scarsa valenza per la Russia. Il Paese infatti è già emarginato per gran parte dell’Occidente, sia sotto il profilo economico che finanziario, ed anche politico.
Inoltre il default non nasce dalla mancanza di denaro da parte del debitore russo, bensì dal blocco dei canali di trasferimento del denaro.
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Il rublo vola
Paradossalmente, la notizia ha fatto un mezzo favore alla Russia. Infatti uno dei problemi concreti per il Cremlino è l’eccessiva forza della sua valuta nazionale, che oggi si è deprezzato, superando il livello di 53 per USD. Inoltre i segnali gratis in tempo reale puntano sul ribasso della valuta moscovita.
Il cambio USDRUB di recente si è mosso in prossimità dei massimi di 7 anni, nonostante gli sforzi profusi dalle autorità russe per arginare il rally. Infatti l’aumento dei prezzi delle esportazioni e il calo delle importazioni, continuano a offrire sostegno alla valuta. Questo preoccupa il Cremlino, dal momento che incide sull’attività delle imprese e anche sugli introiti fiscali.