Una delle probabili conseguenze della pandemia da Covid, sarà l’aumento dell’evasione fiscale. La crisi economica conseguente a quella sanitaria, ha ridotto le fonti di reddito di milioni di italiani, e molti cercheranno di salvaguardare parte di quel reddito, sottraendolo all’Erario.
Il problema dell’evasione
Questo comportamento potrebbe essere più sostenuto nelle zone della Nazione che normalmente già sono meno ricche. A cominciare dal Mezzogiorno, dove la propensione ad evadere potrebbe crescere notevolmente.
La maggior parte dell’evasione fiscale si concretizza su IVA e IRPEF, in prevalenza riguardo ai lavoratori autonomi.
Se la prima è quella che presenta il danno maggiore all’Erario in termini assoluti, la seconda è quella dove si concretizza in percentuale l’incidenza maggiore: sarebbero infatti evasi circa 2/3 del dovuto.
Le imposte meno evase sono invece quella sul reddito dei lavoratori dipendenti (gap al 2,9 per cento) e le accise (10,7 per cento).
Il Covid si fa sentire
Il governo aveva puntato molto sul recupero di somme dall’evasione. Ma il Covid ha frenato tutto. Nella Nota di Aggiornamento al DEF l’esecutivo prevede infatti un crollo del recupero da 15,6 a 8,8 miliardi. Ottimisticamente si prevede una ripresa degli incassi nel 2021, fino a 14,14 miliardi, che nel 2022 potrebbero crescere a 15,31. E’ stato rinviato al 2021 il progetto dell’Iva precompilata, così come la ripresa degli invii delle lettere di compliance.
Il ruolo della digitalizzazione
Un elemento su cui punta parecchio lo Stato è la digitalizzazione dei processi fiscali. In special modo schiacciando sulla leva della promozione dei pagamenti elettronici (in questa ottica rientra anche il cashback di Stato). Il processo di fatturazione elettronica, come la lotteria dei corrispettivi e della lotteria corrispettivi cashless.
Inoltre si punta sul potenziamento dell’istituto del contraddittorio, anche preventivo, così da avere una rapida e più efficace risoluzione delle controversie con i contribuenti.
I crediti datati che valgono zero
E’ chiaro che si tratta di un processo lungo e articolato, nel quale deve rientrare anche la cancellazione di quei crediti che ormai sono “fuori tempo”. Abbiamo quasi 1000 miliardi di crediti verso contribuenti che spesso sono deceduti, nullatenenti o sono verso società ormai fallite. Talvolta si tratta di posizioni ancora aperte dopo quasi 20 anni.
Gli altri Paesi europei hanno un orizzonte temporale di 3-4 anni, e se non recuperano il credito in questo intervallo di tempo, lo azzerano. Semplicemente perché dopo diventa un costo a carico della macchina burocratica fiscale.